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3.01.2012

Laurent Mauvigner - Storia di un oblio

"...e il procuratore ha detto che un uomo non può morire per così poco, che non è giusto morire per una lattina di birra tenuta in mano troppo a lungo..." Questo non è l'inizio di un romanzo, cosa che "Storia di un oblio" non è. Questo è il primo accenno di un grido di dolore ed indignazione per la superficialità che questo mondo di apparenze ha raggiunto. Un grido che si fa sempre più forte ed intenso, ci entra in testa e sottopelle e fuoriesce sotto forma di piccoli, costanti brividi di emozione e commozione. Gli stessi che, spesso, mentre si sfogliano le pagine con una velocità impensabile, non si può fare a meno di pensare colgano lo stesso autore, spezzandone la voce mentre racconta come si possa morire massacrati di botte da un gruppo di vigilantes di un supermercato con la sola scusa di una birra consumata senza avere la possibilità di pagarla. Mauvignier racconta tutto questo al fratello della vittima, in un fiume di parole piene di incredulità e rancore, in cui l'unica forma di pausa è la virgola, perché non si può mettere un punto alla sofferenza che si prova a dover parlare di una morte ingiusta ed insensata; ciò che più impressiona è il suo evidente stato di shock, risaltato dal fatto che alle volte non riesce a tenere il filo dei discorsi perché subito gli balenano in mente altri pensieri, altre parole, altri particolari sempre più atroci e che rendono tutto sempre più insensato e frenetico. L'immaginazione ci porta a vederli uno di fronte all'altro, lui in lacrime che scuote la testa, il fratello della vittima immobilizzato dalla piena di sensazioni che lo rendono apparentemente insensibile, mentre davanti ai suoi occhi si palesa l'immagine del corpo esanime del fratello sul cemento del magazzino, ucciso per divertimento o noia con meno rispetto di quello che un predatore possa provare per la sua preda, sacrificata in nome della sopravvivenza. E' il valore stesso della vita che oggi viene messo in discussione da un virus sempre più diffuso che porta ad attribuire un prezzo ai singoli individui, come i prodotti di un supermercato, appunto. Così un uomo povero e sbandato, vestito di stracci e che passa il suo tempo a cercare amori facili, viene prezzato ad un valore inferiore a quello di una lattina di birra; inferiore, si, perché averla consumata in un gesto quasi involontario, forse necessario, ne ha permesso la condanna a morte, una condanna silenziosa e senza processo, senza possibilità di difendersi, senza in realtà la consapevolezza di doversi difendere, perché mai un uomo vivo potrebbe pensare che il valore di quella vita possa arrivare ad essere così basso. Lo sconcerto sale se si pensa che tale giudizio proviene da persone che non lo conoscono, che non possono sapere quanto per lui sia importante, né tanto meno quali siano le cose che la rendono degna di essere vissuta, ma che sono pronte a porle fine solo in base a ciò che hanno davanti agli occhi, pensando di poter capire tutto, che dietro ad un uomo che vive di nulla può esserci solo altrettanto nulla, non un pizzico di bene, neanche una famiglia. E' tristemente ironico sapere che lui non accartoccia la lattina, per trovarsi pochi istanti dopo accartocciato al suolo dalle botte dei vigilantes, come metaforizzato dalla copertina, in cui la lattina è l'uomo e la mano che la stringe sono gli assassini. Struggente ed illuminante dalla prima all'ultima parola, l'unico modo per affrontarlo è sapere che non si deve semplicemente leggerlo, si deve interpretarlo, si deve pensare di essere li a parlare con la voce rotta dal pianto, così che si possa imparare a vivere diversamente gli incroci di destini che quotidianamente viviamo, perché coloro che ci passano vicini ad ogni passo sono, prima di tutto, esseri umani.

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