E' la prima volta dall'apertura del Blog che mi trovo a scrivere una recensione negativa. Purtroppo non sempre i libri sono come ce li aspettiamo una volta sottratti agli scaffali di una libreria e riposti su quelli più familiari di casa nostra. In quel momento, che personalmente trovo emozionante, abbiamo l'impressione che quel libro si sia aggiunto alla famiglia, lì, in mezzo ai suoi fratelli che per la maggior parte abbiamo già svezzato e apprezzato. Alle volte, però, ci sono dei libri che, come le persone, si mettono un bel vestito e ci riempiono di belle parole nell'incipit o nell'elegante copertina. Di recente, poi, i più vanitosi portano a testimonianza della loro bellezza alcuni commenti di ammiratori non meglio specificati che li esaltano sotto tutti gli aspetti. Come le persone di quella specie, però, anche questi libri ci deludono, si perdono in se stessi e nella loro bellezza esaltata e mai comprovata. "Finché vita non ci separi" appartiene in pieno a questa categoria. Se volessi trovare un elemento positivo, direi che quantomeno l'idea di partenza è geniale e seriamente intrigante, che per un thriller costituisce un ottimo presupposto. Ciò che mi preme non è spiegarvi come si sviluppa la trama, quanto piuttosto rendere il perché l'autrice non abbia saputo sfruttarne i punti di forza, quindi la dirò in breve: Rose, la protagonista, venuta a sapere della prematura morte del marito della sua migliore amica, Polly, decide di ospitarla a casa sua finché la vita non torni a sorriderle. Le due hanno condiviso gran parte dell'infanzia e tutta l'adolescenza, fatta di eccessi anche a causa del successo di Polly come rockstar, fino a quando le loro strade si separano al momento del matrimonio, proiettandole verso stili di vita opposti. Tuttavia Rose non si immagina che dietro l'apparente debolezza psico-fisica dell'amica, coadiuvata da una persistente anoressia, ella stia in realtà tramando di prendere il suo posto nel mondo fatto di tranquillità e amore che lei e il marito sono riusciti a creare in quell'angolo sperduto di campagna inglese. I suoi sospetti nascono e crescono con il susseguirsi di eventi misteriosi dietro i quali sembra celarsi un progetto ben preciso, ma sarà disposta a tutto pur di non vedersi allontanare irrimediabilmente da ciò che la vita le ha concesso dopo tanti sforzi e sacrifici. Come vi dicevo, i presupposti per un romanzo di grande spessore c'erano tutti. Tuttavia, come spesso mi piace sottolineare, avere una grande idea non vuol sempre dire saperla mettere in pratica. Ed è qui che cominciano i problemi: innanzitutto il ritmo narrativo risulta estremamente basso, fatto per lo più di situazioni quotidiane e dialoghi più o meno realistici, mentre i picchi di adrenalina che giustamente ci si aspetta sono pochi ed arrivano sempre con colpevole ritardo. Questo è un aspetto che trovo importante: sapendo di trovarvi di fronte ad un thriller, il fattore psicologico incide profondamente, perché ovviamente alla fine della lettura penserete "in effetti l'ho letto d'un fiato e spesso l'ho trattenuto", eppure analizzando a freddo ciò che vi è appena passato per le mani scoprirete che i momenti di suspance e adrenalina non costituiscono un punto di rottura, una svolta reale nella vicenda. Eppure sono presenti in numero esiguo e molto distanziati tra loro in termini di pagine, quindi ci si aspetta di essere ben ripagati della pazienza dimostrata nel leggere quegli infiniti tratti di calma piatta. In poche parole, si va avanti veloce nella lettura perché si è increduli nel constatare che non accada nulla per un esteso arco temporale, e che quando quel "qualcosa" arriva sembra comunque un fatto minore, aumentando l'attesa per qualcosa che non arriverà mai. Una volta terminato, tornando a leggere sulla II di copertina la frase "Strani incidenti si susseguono. Il vecchio gatto di casa scompare, la figlia piccola di Rose si salva per un soffio da un avvelenamento", ci si accorge di essere stati messi inconsapevolmente di fronte a ben due dei tre fatti misteriosi che accadono nel libro. Il secondo punto critico verte proprio sulla qualità di questi fatti, che risultano poco convincenti e non sembrano mai essere totalmente collegati o utili a dare un senso alla vicenda: così, se l'avvelenamento della neonata può sembrare ovviamente opera di Polly nel portare avanti il suo malvagio progetto, la sparizione del gatto (ovvero la sua morte, che ci è velocemente rivelata) può essere avvenuta in ben altre circostanze, e comunque risulta un espediente piuttosto blando che non può certo avere un effetto adrenalinico sul lettore. Inoltre, tali avvenimenti hanno un peso specifico pressoché identico, cosicché si prova la spiacevole sensazione di non avvicinarsi mai alla fine del romanzo: non c'è quella che in gergo viene definita "escalation", cioè un susseguirsi di eventi sempre più gravi che portano alla resa dei conti finale; anzi, oserei dire che è costruita al contrario, invece di un "crescendo" assistiamo ad un "decrescendo", dato che l'evento più grave è quello dell'avvelenamento, che avviene per primo, mentre nei successivi l'enfasi cala drasticamente. Come volevasi dimostrare, tale resa dei conti viene preparata ad oc nell'ultimo centinaio di pagine, riducendo il finale vero e proprio a poche sfogliate, dove si vede l'enorme difficoltà dell'autrice a far quadrare tutto in così poco spazio. Una lancia va però spezzata in favore della costruzione dei personaggi, che risulta molto precisa e realistica, salvo poi utilizzarli complessivamente male sia nei movimenti sia nel metterne troppo spesso in risalto gli aspetti più cupi e trasgressivi, oltretutto in modo fine a se stesso (vedi scene di sesso, anche occasionale, apparentemente senza senso). A proposito dei personaggi, sono estremamente convinto che la scelta di inserire la figura dei due figli di Polly sia stata una mossa sbagliata, che ha costretto la Crouch ad essere troppo prudente; sarebbe stato sicuramente meglio lasciare Polly da sola dato che, trovandosi di fronte alla vita di Rose con la sua casa, suo marito e le sue due splendide figlie (bellissimo il personaggio della piccola Anna), sarebbe stata più determinata nel tentativo di far sua una dimensione che non gli è mai appartenuta, cosa da cui avrebbe tratto giovamento l'intero scritto. In conclusione, non direi mai di non leggere un romanzo, né tanto meno vestirei mai i panni del giudice infallibile che può assicurarvi che un determinato testo non vi piacerà senza dubbio alcuno. Peraltro ogni lettura è a suo modo necessaria: personalmente, da questa ho ricavato degli aspetti negativi che mi torneranno utili per avere un occhio critico sempre più sviluppato. Tuttavia, in generale non trovo che leggere questo libro sia un'esperienza indimenticabile, come di solito dovrebbe essere immergersi nel magico mondo di carta che fa da cornice alle nostre esistenze, lasciandoci pressoché indifferenti anche di fronte a temi come quelli della sincerità e dell'amicizia, che ricoprono una grande importanza nella quotidianità di tutti noi.
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